Apro la borsa e la segno sulla mia agenda. Poi prendo il telefonino. Lo chiamo. Niente. È staccato. Sorrido. E certo. Avrà fatto tardi. Guardo l'orologio. 10.20. Mi ha detto di non chiamarlo prima delle undici. Su questo è precisissimo. Su altre cose no, ma sul dormire, a volte non sente ragioni.

Tiro fuori dalla borsa uno specchietto rotondo. Lo apro e mi ci guardo dentro. Controllo il trucco leggero che mi sono messa, se per caso avesse sbavato, d'altronde è dalle otto che sono in giro. E mentre mi guardo nello specchietto, mi sembra di sentire da lontano il rumore del suo portone che si apre. Lo riconosco perché un po'"cigola. Chiudo lo specchietto e alzo lo sguardo in quella direzione.

La piazza è vuota. Qualche macchina posteggiata, ma nessuna che passa, non una persona, se non un giornalaio poco distante che sta mettendo a posto qualche giornale. Niente di più.

Mi siedo meglio sulla panchina, mi tiro su e guardo un po'"più lontano. Almeno mi è sembrato che scattasse, quel portone. Sono coperta da una macchina posteggiata davanti a me. Forse mi sono sbagliata. E proprio mentre lo penso, eccolo. Massi. Compare davanti al portone, apre il cancello, come se dovesse uscire. Invece si ferma lì, gira lentamente la testa verso destra e poi sorride. Aspetta che qualcun altro esca. E" tranquillo, sereno, felice. Sarà uno del palazzo? Un amico? Chi altri se no. E" un attimo. Il mio cuore inizia a battere veloce, sempre più veloce. Il respiro diventa affannato. Ho paura, devo andare, voglio andare.... No, devo restare. Mi sembra un sogno, non è possibile. Massi è lì, completamente sveglio. E tiene aperto quel cancello e quel suo sorriso poi, a chi è rivolto, a chi? E anche se sono solo pochi secondi, è un'attesa infinita, un'eternità. Poi compare lei. Arriva camminando piano, come se fosse al ralenti. Alis. Si ferma vicino a lui, sul cancello. Gli sorride, si aggiusta i capelli come le ho visto fare mille volte e lentamente piega la testa e gli si avvicina, piano, più piano. E io vorrei fermarla, dire qualcosa, gridare. E invece no. Non dico nulla, non una parola. Riesco solo a guardare. E alla fine si baciano.

E io mi sento morire. Svanire. Scomparire. Dissolvermi nel vento. Rimango così. Senza parole, con la bocca aperta e il cuore distrutto. Annientata. E come se improvvisamente il cielo fosse diventato nero, il sole scomparso, gli alberi avessero perso le foglie, i palazzi fossero dipinti tutti di grigio. Buio. Buio totale.

Cerco affannosamente di ritrovare il fiato. Non ci riesco. Mi manca l'aria. Non riesco a respirare. Mi sento mancare, svenire, mi si annebbia la vista. Poggio le mani sulla panchina, vicino a me, per sentirmi sulla terraferma.

Ancora viva.

Purtroppo trovo di nuovo la forza di guardare verso di loro. La vedo sorridere a lui. Andare via, così, muovendo i capelli, allegra come l'ho sempre vista mille volte, ma vicino a me o con Clod. In mille feste, occasioni, gite, a scuola, per strada. Noi, solo noi, sempre noi, le tre amiche del cuore.

Alis sale sulla sua macchinetta. Come ho fatto a non vederla prima? Come ho fatto a non notarla? Mi sarebbe bastato questo per capire, per andare via, per evitare quella scena, quel bacio, quel dolore immenso che non dimenticherò mai. Ma a volte non vedi. Non vedi le cose che hai davanti quando cerchi solo la felicità. Felicità che ti annebbia, felicità che ti distrae, felicità che ti assorbe come una spugna. Non le vedi. Vedi quello che vuoi, quello di cui hai bisogno, quello che ti serve vedere. E rimango così, su quella panchina, come se fossi una statua, quelle che ogni tanto fanno per ricordare qualcosa. Sì. La mia prima, vera delusione, la più grande.

E vedo Alis sparire così, in quella macchinetta che mille volte mi ha accompagnato a casa, su cui abbiamo condiviso mille serate e passeggiate al mare, su e giù per la città, ridendo, scherzando, chiacchierando di tutto e di più, dei nostri amori...

I nostri amori.

La nostra promessa.

Il nostro giuramento.

Mai niente ci dividerà...

Giura che non ci perderemo mai.

Giura che sarai mia amica per sempre.

Guardo verso il portone. Massi non c'è più. E" rientrato. E allora, quasi senza capirlo, come un automa, inizio a camminare. Lascio i giornali sulla panchina, insieme al cappuccino, ai cornetti. Non mi viene da pensare di darli a un barbone, a qualcuno che ha fame, che ne ha veramente bisogno.

Oggi no.

Oggi non voglio essere buona.

E mi allontano così, con quei fiori celesti abbandonati lì per terra. Sembrano quelli lasciati sull'asfalto in ricordo della scomparsa di qualcuno. Dopo la sua morte dovuta a un insulso, drammatico incidente, magari per colpa di qualcuno e della sua distrazione. No. Quelli sono lì per me.

Per la mia morte. Per colpa di Alis. E di Massi. E mentre cammino ripenso ai suoi baci, a quella volta al mare, le corse sulla spiaggia, dietro di lui, in moto, abbracciata al tramonto, con lo sguardo felice perso nelle onde lontane del mare e nel suo amore. E inizio a piangere. In silenzio. Sento le lacrime che scivolano giù, lungo le guance, lente, inesorabili, una dopo l'altra, senza che io possa far niente per fermarle. Scendono giù così, rigandomi il viso di trucco, di dolore e mi asciugo con il dorso della mano e singhiozzo, mentre continuo a camminare. Non riesco a fermare il petto, va su e giù, rumoroso, distratto, impreciso, sfogando tutto il dolore che provo. Tanto. Immenso. Non è possibile. Non ci posso credere. E improvvisamente sento il telefono suonare. Mi asciugo le lacrime e lo prendo dalla borsa. E vedo il suo nome sullo schermo. Massi. Guardo l'orologio. Le undici. Che stronzo. Ecco perché non voleva essere svegliato prima.

Lo lascio suonare, metto su muto. Poi quando s'interrompe la telefonata lo spengo del tutto. Per adesso. Per domani. Per tutto il mese. Per sempre. Cambierò numero. Ma non cambierà il mio dolore. Non cancellerà le loro facce. Quel sorriso, quell'attesa, quel bacio che ho visto. E continuo a camminare. Sarà stata quella sera alla sua festa, quando parlavano sulla panchina, sotto il grande albero. Lì si saranno scambiati i numeri. Poi si saranno sentiti. Improvvisa rabbia. Il respiro mi torna veloce. Troppo. Sento delle fitte tremende allo stomaco. Ma non riesco a fermarmi, immagino, penso, ragiono, mi faccio male. Si saranno visti prima, qualche altro giorno, da qualche altra parte, poi avranno deciso. Ma chi avrà fatto il primo passo? Chi avrà detto la prima cosa, chi avrà fatto la prima allusione, chi il primo bacio, chi la prima carezza? Cambia poco. Anzi niente. Ha senso tra due colpevoli trovare quello un po'"più innocente?

Ma continuo lo stesso così, lacerandomi, distruggendomi, annientandomi, soffrendo, con la voglia di urlare. Di stare ferma. Di sdraiarmi a terra. Di scappare. Di non parlare più. Di correre. Di qualsiasi cosa mi liberi da questa morsa che mi soffoca. Chi avrà detto ci vediamo da te domani mattina presto o peggio ieri sera? Sì, ieri sera. Avranno dormito insieme. E su quest'ultimo pensiero ho una specie di mancamento. Vedo annebbiato, la testa mi fa un formicolio strano, le orecchie sembrano avere dentro il cotone. Mi sento svenire. Quasi cado a terra. Mi appoggio a un palo lì vicino e rimango così, con il mondo che gira insieme alla mia testa e le lacrime, purtroppo, ormai sono finite.

"Caro..."

Sento una voce. Mi giro. Una Mercedes celeste pallido, di quelle antiche, è ferma davanti a me, tutta aperta, nuova, bellissima. Sorrido ma non capisco. "Che c'è? Cosa?" Poi lo vedo scendere.

"Caro... che ti succede?"

E" Rusty James. Mi corre incontro, mi prende al volo, prima che io cada per terra. Sorrido tra le sue braccia.

"Niente. Ho dormito poco... Mi gira un po'"la testa. Devo aver mangiato qualcosa che mi ha fatto male..."

"Shhh..." Mi mette una mano sulla bocca. "Shhh, buona..." E mi sorride e io l'abbraccio forte e lo stringo. "Oh, Rusty James... perché?" e inizio a piangere a singhiozzi sulla sua spalla.

"Su su, Caro... non ti preoccupare. Qualunque cosa sia, la risolveremo." E mi aiuta a salire, mi fa sedere, mi tira su le gambe e chiude lo sportello. E poi monta vicino a me, mette in moto e parte. E mi guarda ogni tanto. E" preoccupato, lo so, lo sento. Poi tenta di distrarmi.

"Ti stavo cercando, sai, ti volevo far vedere il regalo che mi sono fatto... ti piace?"

Annuisco senza parlare. Non mi vuole far pensare, lo so... lo conosco. Ma non ci riesco. Continua a guardarmi mentre parla e cerca di sorridere, ma io lo so, soffre per me.

"Mi hanno preso Come un cielo al tramonto. Avevi ragione tu! E così ho deciso di festeggiare, ti cercavo... Perché volevo dividere questo momento con te..."

E per un attimo vorrei essere felice con lui, come si meriterebbe in questo momento, ma non ci riesco. Non ce la faccio. Perdonami, Rusty James. Poggio una mano sulla sua.

"Scusami..."

Mi sorride. E chiude gli occhi lentamente, come a dire "non ti preoccupare, lo so bene, non mi dire niente, ci sono passato anche io .

E chissà quante altre cose ci sono in quello sguardo.

E invece mi dice solo: "Dove vuoi andare?".

"Fammi vedere il mare..."

Allora scala le marce e accelera un po'"e guida tranquillo e sento il vento accarezzarmi i capelli. Poggio la testa sul sedile e mi lascio portare così. E poco dopo siamo fuori città. Mi infilo i grandi occhiali e lui mette un po'"di musica. E allora chiudo gli occhi. E quando li riapro non so quanto tempo è passato. So che davanti a me c'è il mare. E" tranquillo. Piccole onde si rompono sul bagnasciuga, dune di sabbia si alternano ogni tanto a un po'"di verde. Respiro a lungo e sento l'odore dei pini e del mare e del sole sull'asfalto intorno a noi. Leggo un cartello, siamo alle dune di Sabaudia.