"Bugiardo, pensavi a me."
Decisa e divertita si allontana, non troppo ancheggiante ma sicura
su per le scale che portano fuori dalla palestra. Le gambe
scendono
giù dalla gonna leggera, leggermente plissettata e si perdono,
toniche e guizzanti, forse un po' incremate, sparendo sottili più
giù
per lasciar posto a un tacco deciso e squadrato.
Si ferma in cima alle scale e si gira. "Allora che fai, mi guardi
le gambe? Dai, non stare in fissa. Andiamo a prendere un aperitivo
o quello che vuoi tu che poi ho il pranzo con i miei e mio zio.
Due palle. Sennò, con il cavolo che mi conciavo così."
Donne. Le vedi in palestra. Piccoli body, strane tute inventate,
pantaloncini stretti e magliette sbrillentate. Aerobica a più non
posso.
Sudate su un viso senza trucco, capelli impiastricciati, incollati
al viso. E poi pluff... Peggio della lampada di Aladino. Escono
dagli
spogliatoi miracolate. Quel cesso slavato che hai visto prima non
c'è più. Il brutto anatroccolo si è truccato. È nascosto in
vestiti ben
scelti, ha le ciglia più lunghe, arcuate da un mascara costoso.
Labbra
perfettamente disegnate, a volte perfino tatuate, fanno uscire
ancora di più quella bocca che non è stata ancora pizzicata dalla
costosa zanzara collagene. Le donne, giovani cigni mascherati.
Certo
non sto parlando di Gin. Lei è...
"Oh, ma a che pensi?"
"Io?"
"E chi sennò? Siamo io e te."
"Niente."
"Sì, ancora. Be', deve essere un niente molto particolare.
Sembravi
imbambolato. Te ne ho date troppe, eh?"
"Sì, ma mi sto riprendendo."
"Io vengo con la mia macchina."
"Ok. Seguimi."
Monto in moto, ma non resisto. Piazzo lo specchietto per poterla
vedere salire in macchina. La supero. La tengo al centro della
mia vista. Eccola, sta salendo. Gin si piega in avanti, si siede
sul
sedile, morbida e leggera fa volare via da terra una dopo l'altra
le
sue gambe. Veloci e scattanti, quasi unite se non per un attimo,
quel
piccolo frame di pizzo che però per me è come un film. Che
sensuale
fotoflash. Poi torno alla realtà. Metto la marcia e via. Gin mi
segue senza problemi. Guida come una pilota provetta. Non ha
problemi nel traffico, allarga, supera e rientra. Suona il clacson
ogni
tanto per prevenire qualche errore altrui. Segue oscillando la
macchina
nelle sue curve, agitando la testa, immagino, a tempo di musica.
Gin selvaggia metropolitana. Ogni tanto mi lampeggia quando
si accorge dal mio specchietto che la sto controllando, doppi fari
come a dire... ehi, stai tranquillo, ci sono. Ancora qualche curva
e ci siamo. Mi fermo, la lascio sfilare, mi accosta. "Dai,
posteggia
qui, che lì non si entra." Non chiede altre spiegazioni. Chiude la
macchina e mi monta dietro tenendosi la gonna bassa per quella
strana operazione da cavallerizza.
"Troppo forte questa moto, mi piace. Ne ho viste poche così."
"Nessuna. L'hanno fatta solo per me."
"Sì, senz'altro, ancora. Sai quanto costerebbe un solo modello
per una sola persona?"
"415.000 euro..."
Gin mi guarda sinceramente strabiliata.
"Così tanto?"
"E calcola che a me hanno fatto pure un grosso sconto."
Mi vede sorridere nello specchietto che ho girato verso di lei
per incrociare il suo sguardo. Cerco di fare una piccola lotta a
braccio
di ferro con gli sguardi. Poi crollo e sorrido. Lei mi batte forte
sulla spalla. "Ma va', che cavolo dici, sei proprio un cazzaro! "
Questa,
dai tempi delle mitiche risse a piazza Euclide, dalle scorribande
sulla Cassia fino giù a Talenti e ritorno, non mi era mai
capitata.
Step, un cazzaro. E chi si è permesso di dirlo? Una donna. Questa
donna, questa qui dietro a me. E continua poi.
"A parte il suo costo, mi piace veramente tanto questa moto.
Un giorno o l'altro me la devi far portare."
Roba da pazzi, qualcuno che mi chiede di guidare la mia moto, e
chi poi? Sempre una donna. La stessa che mi ha dato del cazzaro!
Ma
la cosa più incredibile di tutte è che io le dico: "Sì, certo".
Ci infiliamo a Villa Borghese, guido veloce ma senza troppa
fretta e mi fermo davanti al piccolo bar vicino al laghetto.
"Ecco, siamo arrivati, qui non ci viene tanta gente, è più
tranquillo."
"Che c'è, non ti devi far vedere?"
"Ehi, hai voglia di litigare oggi? Se lo sapevo, in palestra ci
andavo
giù più duro."
"Guarda che ti ha detto bene."
"Ancora."
"Ok, ok, pace dai, ci si prende un aperitivo 'tregua', ci stai?"
Capitolo 35.
Claudio posteggia la macchina in garage. Per fortuna non c'è
la Vespa. Ancora nessuna delle figlie è tornata. Meglio. Almeno
non
corre il rischio di rovinare di più la fiancata. Anche se è
difficile
scendere al di sotto di quello che gli hanno offerto per la
Mercedes.
E con questo ultimo pensiero di libertà, dedicato al sogno della
sua Z-A, chiude il garage e sale a casa.
L e nessuno?
L'appartamento sembra in silenzio. Un sospiro di sollievo. È bello
concedersi un attimo di tranquillità. Anche per organizzare ancora
meglio l'uscita serale. Non sarà facile. C'ha pensato tutto il
pomeriggio,
ma vuole ripassare il piano, perfezionarlo anche nei minimi
dettagli. Vuole essere sicuro che non ci sia nessun imprevisto.
Ma proprio in quel momento gli piomba alle spalle Raffaella.
"Ci sono io, e c'è anche questa."
Gli sbatte davanti alla faccia l'estratto conto della sua carta di
credito, con la penultima riga sottolineata con l'evidenziatore
giallo.
Claudio la prende per le mani sbigottito. Raffaella gli si fa
ancora
più sotto.
"Allora, che vuol dire? Mi sai dare una spiegazione?"
Claudio si sente un giramento di testa. Il suo estratto conto
aperto. Schiaffato lì, davanti a tutti. A tutti... a sua moglie.
Oddio,
pensa, cosa avrà trovato? Fa una veloce ricognizione mentale. No.
Non ci dovrebbe essere nulla. Poi la vede. In fondo al conto la
penultima
riga risalta su tutte le altre. Prova inconfutabile della sua
colpa, dell'essere voluto tornare sul luogo del delitto. Ma lei
non
può sapere, non può immaginare.
"Ah, questa... ma niente, non è niente."
"180 euro per niente? Non mi sembra un buon affare."
"Ma no, è che ho comprato una stecca da biliardo."
"Ah sì? Questo lo so. Nell'estratto conto si legge perfettamente:
La bottega del biliardo. Quello che non so è da quando tu giochi
a biliardo. E soprattutto chissà quante altre cose allora non so.
"
"Ma Raffaella, ti prego. Guarda che ti sbagli, non è per me."
Poi una specie d'illuminazione, un faro nella notte, la
possibilità
di uscire illeso da quel mare in tempesta, da quel navigare a
vista
tra scogli appuntiti nascosti dall'uragano Raffaella.
"Non sapevo che regalare al dott. Farini, e siccome so che nella
casa al mare ha un biliardo, ho pensato che questo fosse un bel
regalo! Infatti gli è piaciuto molto. Pensa che stasera ci
vediamo,
andiamo a cena e poi facciamo anche una partita! "
Non era proprio questo il piano che aveva pensato tutto il
pomeriggio,
ma a volte l'improvvisazione crea delle bugie miracolose.
Raffaella non sa se crederci.
"Cioè, andate a giocare a biliardo tu e lui?"
"Sì, ma tu non sai. Dice che con la stecca che gli ho regalato gli
si
è riaccesa un'antica passione. Da quando ha ripreso a giocare
anche
le cose in azienda gli vanno meglio, capisci? Il biliardo lo
rilassa, non
è un miracolo?" Poi tutto fiero, quasi gonfiandosi. "Pensa che mi
ha
affidato dei finanziamenti per centinaia di migliaia di euro
grazie a
una stecca da biliardo da soli 180 euro. Non sono stato bravo?"
La vede ancora dubbiosa. Allora decide di giocare il tutto per
tutto, spericolato funambolo della menzogna, trampoliere della più
bassa bugia, Stuntman della falsità più assurda.
"Senti, non so come convincerti, guarda, ecco, potremmo fare
così, vieni anche tu con noi! Facciamo la cena e poi ci tieni i
punti
nella sala da biliardo, eh, ti va?"
Raffaella rimane per un attimo in silenzio.
"No, grazie."
Di fronte a questo tuffo nel vuoto, si tranquillizza. Anche
Claudio.
E se avesse detto di sì? Dove lo trovavo alle sette di sera
Farini?
È almeno un anno che non lo sento, sarebbe stato difficile
organizzare
una cena così, su due piedi, e soprattutto una partita a
biliardo, visto che Farini non ha proprio l'aria del giocatore.
Claudio
decide di non pensarci. Sta troppo male anche solo all'idea. Così
le sorride, cercando di fugare del tutto ogni sua minima
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