viaggio. Ed è su un taxi chiamato così che finirà tutto. Poi corre

in

bagno e vomita anche quello che non ha mangiato.

Poco più tardi. Fermo al piazzale di Porta Pia, Claudio guarda

l'ora. Sono le nove. Ho ancora mezz'ora. Ha sete. Decide di andare

a prendere una birra a un bar poco distante. Accende la macchina

e fa un'inversione a U. Anche se ha commesso un'infrazione,

è stato prudente. Aveva controllato che non venisse nessuno. C'era

solo un taxi che arrivava da in fondo la strada. Se fosse stato

attento

avrebbe letto la sua sigla: Venezia 31. Certo, anche quella non

gli avrebbe detto niente. Ma se fosse stato ancora più attento, se

avesse guardato anche dentro al taxi, allora avrebbe capito che

per

lui non c'era più scampo.

Raffaella scende dal taxi, paga ed entra nell'Hotel Marsala. Si

guarda intorno. Un ambiente orribile. Una pianta finta in un

angolo.

A terra un tappeto rosso consumato. Vicino al muro c'è una

vecchia panchina dal legno mangiato. Lì davanti, un tavolino col

vetro rotto e alcune riviste vecchie distrattamente poggiate

sopra.

Un portiere si affaccia dal bancone.

"Buonasera, posso aiutarla? Le serve qualcosa?"

"Il signor Gervasi mi ha consigliato questo albergo. È in camera?"


Il portiere la guarda. Ma è un attimo. Ne ha viste abbastanza

per sapere che a volte è meglio farsi gli affari propri. Poi si

gira.

Controlla nella cassetta delle chiavi. La diciotto è ancora lì.

"No, non è ancora arrivato." Sorride alla signora in maniera

cortese.

"Bene, grazie, allora, se non le dispiace, lo aspetto qui."

Raffaella si siede sulla panchina, stando attenta a non farlo con

troppo slancio. Ci mancherebbe solo questo, cadere e rompersi una

gamba ed essere portata all'ospedale. Ora che sa la verità, che è

arrivata

al capolinea, in fondo alla sua corsa. Questo incontro finale

non se lo vuole perdere per niente al mondo. Raffaella apre un

giornale

e lo sfoglia velocemente. Ma è come se non vedesse le foto, le

scritte, le pubblicità. Solo pagine colorate. Di rosso sangue. E

proprio

in quel momento arriva Francesca. Apre la porta a vetri dell'hotel

ed entra con la sua solita allegria, salutando il portiere.

"Ciao, Pino! Claudio è arrivato?"

Il portiere guarda lei. Poi Raffaella. Risponde quasi balbettando.

"No... ancora no."

"Allora dammi le chiavi, che lo aspetto su."

Il portiere le dà le chiavi numero diciotto e poi decide di andare

nell'altra stanza. In alcuni casi è meglio non aver visto niente.

Raffaella sbatte il giornale sul tavolino e si alza. Va verso di

lei,

si ferma a un passo e la guarda negli occhi. Francesca rimane

senza

parole. Spaventata, fa un passo indietro. Raffaella

improvvisamente

la riconosce. Non ci posso credere. Che stupida che sono

stata. Quella non era una cartolina. Era una foto plastificata. È

lei

quella ragazza sulla spiaggia. Lei è "F".

"Ma che succede?"

Raffaella fa quasi un sorriso di sfida.

"Niente, un controllo. Come ti chiami?"

"Francesca, perché?"

In un attimo quella "F" prende vita. Francesca la stronza.

"Stai aspettando Claudio, vero?"

Francesca non riesce a capire. O forse non vuole capire. Comunque

Raffaella non le dà il tempo. Prende il telefonino di Claudio

e compone il numero, il proprio numero.

"Aspetta, che ora te lo passo."

Claudio ha appena preso una birra, ne sta bevendo un sorso in

macchina, quando quasi si strozza sentendo suonare quel telefonino

dalla tasca. Vibra e suona con uno squillo che però non è il suo.

Lo prende. Lo guarda sorpreso, non capendo. Poi lo apre. E in quel

momento vede quello che non si sarebbe mai aspettato. Il suo nome,

"Claudio", che lampeggia enorme sul display. Ma com'è possibile

che mi sto chiamando? Non capisce più niente. Quello è il

suo ultimo, stupido pensiero, prima di poter realizzare, di

capire,

di cadere nel baratro del dramma. Continua a guardare il suo nome

come ipnotizzato da quello squillo, non capendo che quel suono

è la sua chiamata per un'andata senza ritorno nel mondo degli

inferi. Poi all'improvviso non ce la fa più e decide di

rispondere.

"Pronto?" quasi timoroso, preoccupato di sentire chissà cosa

dall'altra parte. E infatti c'è proprio lei, l'ultima persona che

avrebbe

voluto sentire. Sua moglie.

"Ciao Claudio, aspetta che ti passo una persona."

Claudio resta senza parole, non fa in tempo a dire nulla, mentre

Raffaella poggia il telefonino sull'orecchio di Francesca. Claudio

non può immaginare, non vuole immaginare quale sarà ora la

seconda voce che sentirà... Chi è la persona vicino a sua moglie?

Chi può essere? Allora, completamente disorientato, decide di

ritentare

lo stesso.

"Pronto...?"

"Claudio sei tu? Sono Francesca... c'è qui una donna che mi ha

chiesto..." ma non fa in tempo a finire. Raffaella le leva il

telefonino

dall'orecchio e riparla con Claudio.

"Ti aspetto a casa."

Proprio in quel momento, Claudio passa in macchina davanti

all'Hotel Marsala col telefonino ancora aperto e le vede insieme:

Raffaella e Francesca. Claudio non crede ai suoi occhi, rimane

sbigottito

e accelera, cercando in qualche modo di fuggire. Ma non sa

che da questo momento non ha più scampo.

Francesca si rivolge scocciata a Raffaella.

"Ma scusa, gli stavo parlando, perché mi hai chiuso? Tu sei

maleducata..."


Raffaella le sorride, poi le prende dalle mani le chiavi della

stanza.

Francesca la lascia fare. Il grosso quadrato di legno pesante, con

sopra il numero diciotto attaccato alle chiavi, ciondola dalle

mani

di Raffaella.

"Era questa la stanza dove tu 'prendevi' Claudio?" Francesca

non risponde. Raffaella alza un sopracciglio. "Io non sono

maleducata.

Io sono la signora Gervasi. E tu, tu non sei un cazzo! " e le

dà il quadrato di legno in piena faccia, rompendole il naso e

stampando

per sempre nei suoi ricordi quel numero diciotto.

Capitolo 69.

"Ehi, Step, ma mi stai sentendo?"

"Certo..." Mento.

"Come sono felice di vederti... ma perché non mi hai chiamato

quando sei tornato?"

"Be', non sapevo..."

"Non sapevi cosa?" Ride coprendosi la bocca. Muove i capelli

portandoli all'indietro. "Se sono sola?" Mi guarda. Ora con occhi

più intensi. Senza quel fiore in bocca. Ma non dice altro, e io

ripenso al nostro Battisti. A quando lei si faceva le trecce, alle

sue

guance rosse, alle nostre cantine buie... Al mare nero. Ma non

aspetto

risposta.

"Bevo qualcosa."

E per fortuna trovo subito un rum. Un Pampero, il migliore.

Ne prendo un bicchiere e lo butto giù. Io vorrei... Ne prendo un

altro. Non vorrei... Me lo scolo tutto di un fiato. Ma se vuoi...

Un

altro bicchiere ancora. Come può uno scoglio arginare il mare?

Non ho mai saputo rispondere a quella domanda. Torno da lei, ci

sediamo su un divano. E guardandola trovo la risposta. È

impossibile.

Il mare è infinito. Proprio come i suoi occhi. E il mio scoglio...

Be', il mio scoglio è troppo piccolo. Lei mi guarda e ride.

Ride.

"Hai bevuto, eh?"

"Sì, qualcosa."

E in un attimo siamo lì, all'ombra, come quelle due biciclette

abbandonate. E passa del tempo. Non so quanto. E lei mi racconta

tutto, tutto quello che si può raccontare, che decide di

raccontarmi.

Lei donna. Lei che era chiara e trasparente come me... E prima

che le chieda quante braccia l'hanno stretta per diventar quel

che è, la serata finisce. Proprio come la mia bottiglia. "Ciao

Carola,

ciao ragazzi."

E tutti si salutano, si scambiano baci, appuntamenti, si ricordano

un impegno futuro. E ci troviamo fuori dal portone. Soli, poco

dopo.

"Che fai?"

"Eh, niente. Sono venuto con il mio amico Guido in macchina,

ma lui se ne è andato."

"Non ti preoccupare. Ho io la mia. Ti accompagno io, dai."

E salgo su una Minicooper blu ultimo modello con tanto di stereo

e ed. "Buffo, eh?" Mi guarda mentre guida.

"Ci siamo conosciuti con un passaggio in moto dove io sono

salita dietro di te e ci ritroviamo con un passaggio in macchina

dove

stavolta sali tu."

"Sì, buffo..." Non so cosa aggiungere. Mi chiedo solo se Guido

aveva immaginato anche questo. Lucignolo impeccabile dalla

mente geniale. Rivedo il suo sorriso, l'occhiolino e la sua uscita

di

scena perfetta, da grande confezionatore di destini... Ma perché

proprio il mio.

"Tieni." Babi mi allunga la sua sciarpa.

"Grazie. Ma non ho freddo!"

Ride. "Sciocco." Ora mi guarda più seria. "Mettitela sugli occhi.